Olio di palma: sì o no?

 “L’olio di palma non fa male alla salute. Non direttamente forse, ma quali sono le conseguenze della sua produzione massiva?

Consiglio a tutti di guardare attentamente le immagini pubblicate oggi dal Boston Globe, in particolare le n° 7, 13 e 23.

Grazie a questo reportage fotografico ho anche scoperto che il sodium laureth sulfate, tensioattivo presente in quasi tutti i cosmetici detergenti, è fatto con l’olio di palma: oltre ad essere aggressivo e dannoso per la pelle è anche pessimo per l’ambiente!

Sono sempre più felice di essere passata ai cosmetici ecobio perché oltre ad averci guadagnato in salute e portafoglio ho anche contribuito inconsapevolmente a ridurre il consumo di olio di palma.

Se volete saperne di più su quali tipologie di prodotti contengono olio di palma vi rimando a questa pagina del WWF: http://www.worldwildlife.org/pages/which-everyday-products-contain-palm-oil

which-everyday-products-contain-palm-oil-pages-wwf

Ho salvato una copia in pdf del reportage del Boston Globe, in modo che sia consultabile e visibile indipendetemente dalla sua disponibilità sul loro sito: Produzione di Olio di Palma (Boston Globe)

AGGIORNAMENTO: dopo alcune fruttuose discussioni e altre letture sull’argomento (ad es. questo articolo http://www.scientificast.it/2017/03/02/un-post-senza-olio-palma/) sono giunta alla conclusione che da un punto di vista ambientale sostituire l’olio di palma potrebbe addirittura essere peggio che continuare ad usarlo. Se, come affermano varie fonti, la produzione per ettaro è dalle 5 alle 10 volte più abbondante che per gli altri oli vegetali, sostituire questo olio con altri sarebbe ancora più dannoso in termini di consumo di suolo e acqua.
A mio avviso sarebbe fondamentale quindi agire su due fronti:

  1. Accertarsi che tutto l’olio di palma utilizzato sia veramente prodotto in modo sostenibile e certificato tale da organismi super partes.
  2. Ridurre a livello mondiale il consumo e la produzione di cibi confezionati contenenti grassi di qualunque tipo, incentivando di conseguenza l’autoproduzione. Sarebbe ottimo anche per contrastare i problemi di sovrappeso perché un conto è avere un sacchetto di biscotti già pronto nell’armadio o sapere di poterne comprare uno per pochi soldi e a pochi passi da casa, un conto doverseli fare a mano: sono sicura che a molti passerebbe la voglia in favore magari di uno snack già pronto e più sano come la frutta secca.

Vestiti e ricordi

That’s my technique, I resurrect myself through clothes. In fact it’s impossible for me to remember what I did, what happened to me, unless I can remember what I was wearing, and every time I discard a sweater or a dress I am discarding a part of my life. I shed identities like a snake, leaving them pale and shrivelled behind me, a trail of them, and if I want any memories at all I have to collect, one by one, those cotton and wool fragments, piece them together, achieving at last a patchwork self, no defence anyway against the cold. I concentrate, and this particular lost soul rises miasmic from the Crippled Civilians Clothing Donation Box in the Loblaws parking lot in downtown Toronto, where I finally ditched that coat.
tratto da “Dancing Girls” di Margaret Atwood

Tradotto per i non anglofoni (il grassetto è mio):

Questa è la mia tecnica, io resuscito me stessa attraverso i vestiti. Per me è impossibile ricordare cosa ho fatto, cosa mi è successo, se non posso ricordare cosa indossavo, e ogni volta che butto via un maglione o un vestito sto gettando una parte della mia vita. Spargo identità come un serpente, lasciandole pallide e raggrinzite dietro di me, una scia, e se voglio recuperare dei ricordi devo raccogliere, uno per uno, questi frammenti di cotone e lana, metterli insieme fino ad ottenere un’identità simile ad un patchwork che non assicura alcuna difesa contro il freddo. Mi concentro e quella specifica anima perduta si solleva come un miasma dalla scatola per le donazioni ai mutilati civili dove alla fine ho lasciato quel cappotto, in un parcheggio in centro a Toronto.

Questo brano di un racconto di Margaret Atwood mi ha colpita moltissimo, questo abbinare i vestiti ai ricordi in modo così stretto da non riuscire a liberarsi dei primi senza dover rinunciare anche ai secondi. Una memoria visiva, tattile e olfattiva che trasforma un vestito in una specie di seconda pelle, un simulacro di ricordo, quasi un talismano magico.
Sarebbe molto comodo riuscire davvero a liberarsi di certi ricordi così facilmente…e molto confortante potersi affidare ad un pezzo di stoffa come memoria dei momenti felici.

Tempo fa parlavo (o meglio discutevo) con la madre di una mia amica a proposito di traslochi e armadi e scatoloni pieni di vestiti tenuti solo per ricordo. Per me, che non ho questo tipo di mentalità, sembrava impossibile averli tenuti per tutti questi anni a fare la muffa quando sarebbero potuti essere utili a qualcuno. Per lei, molto vicina alla protagonista del racconto citato e amante della sartoria e della moda, è impossibile anche solo pensare di liberarsene, due posizioni completamente opposte e inconciliabili perché nessuna delle due è in grado di capire l’altra.

Dopo aver letto questo racconto, cara Anna, forse capisco un po’ meglio cosa intendevi. Non è il mio modo di sentire e ricordare e ovviamente continuerò a fare come ritengo più giusto per me, ma ho imparato che non si può essere troppo categorici quando si parla di eliminare gli oggetti, bisogna tenere conto dell’emotività della persona cui appartengono.

Saprò essere più sensibile e meno dogmatica 🙂

Un’app per semplificare la raccolta differenziata

12791008_969858906429481_7087172282269791555_nAmmettiamolo: fare la raccolta differenziata spesso è un delirio! Hai in mano un imballaggio, lo giri e lo rigiri e non riesci proprio a capire di cosa sia fatto e come smaltirlo.

A “Fà la cosa giusta” edizione umbra di quest’anno mi hanno presentato un’app che ci aiuta proprio in questo: Junker!

Con la scansione (velocissima!) del codice a barre o del simbolo del riciclo oppure tramite ricerca testuale possiamo sapere in un attimo dove buttare l’oggetto. Se manca dal loro database possiamo anche contribuire e inviargli una segnalazione. Per i comuni abilitati ci segnala inoltre tutti i punti di raccolta, gli orari per la raccolta porta a porta con reminder configurabile e anche lo spazzamento strade.
I dati forniti sono geolocalizzati, quindi l’app ti dice dove buttare l’oggetto in base alle regole vigenti nel comune in cui ti trovi. Se il tuo comune non è presente puoi segnalarglielo e loro provvederanno a contattarli: per l’utente è un servizio gratuito ma il comune paga per aderire…spero che lo faccia presto anche il mio!

Mai più senza 🙂

Minimalismo culturale

free-albero-di-natale_64228Nel gruppo Facebook del blog minimo  si parla di festività natalizie, dell’opportunità o meno di fare regali ai bimbi piccoli, di genitori che “forzano” i figli a scegliere dei regali anche se loro non ne vogliono, di addobare casa con albero e presepe perché così vuole la tradizione.
Discutendone fra noi si sono manifestate due visioni opposte: una è appunto la voce della tradizione, quella del “Ma dai è Natale, non puoi non fare l’albero! Questi ricordi sono importanti per un bambino! L’attesa, la gioia di aprire i regali, il senso di festa”.  L’altra invece si appella all’inutilità di fare regali (soprattutto nei primi anni di vita), allo spreco, alla mentalità consumistica che viene imposta fin dalla nascita, alla libertà di non festeggiare.

Ed è anche emerso il discorso del senso di vergogna, soprattutto nei bambini in età scolare, per non aver ricevuto regali o per non aver festeggiato come gli altri, perché si sa che i bambini soffrono moltissimo nel sentirsi diversi dai loro coetanei. E i poveri? Chi i regali proprio non può farli? Come giustificherà ai suoi figli il fatto che Babbo Natale da loro non sia passato anche se sono stati buoni? L’equazione bambino buono = molti regali, bambino cattivo = niente (o carbone alla Befana) è tremenda, instaura un senso di colpa estremamente dannoso.

Per molti inoltre il Natale è associato a ricordi dolorosi, a persone care che non ci sono più, a separazioni che hanno lacerato una famiglia. Eppure bisogna “sforzarsi” di essere felici, fingere gioia e sorrisi “perché è Natale”.

A me questa visione sta stretta. Per oltre 15 anni ho festeggiato il Natale con fatica e sperando che finisse prima possibile, simulando sorrisi dietro a cui c’era il nulla, un senso di vuoto enorme. Sono riuscita a recuperare la mia gioia del Natale, il piacere di stare insieme a chi c’è senza piangere più chi è assente, le luci, i profumi, la festa. Ma se non fosse così dovrei ancora sforzarmi? È giusto farlo, non seguire quello che ci dice il nostro cuore?

In risposta a queste domande propongo di fare un po’ di “minimalismo culturale“: eliminiamo dalla nostra mente il senso di obbligo a festeggiare una festa che non sentiamo nostra, che non ci piace per niente o che ci riporta alla mente ricordi dolorosi. Eliminiamo l’impulso a fare le cose solo perché “si è sempre fatto così”, a comprare oggetti senza motivo.
Ripetiamo come un mantra: non è obbligatorio fare quello che fanno tutti solo perché “è cultura/tradizione”, non è necessario festeggiare se non ne abbiamo voglia, non è necessario “fare qualcosa di speciale” a Capodanno (altra festività terribile per chi soffre di solitudine!), non dobbiamo per forza seguire la massa come un disciplinato gregge di pecore.

Possiamo creare le nostre tradizioni personali, stravolgere le feste, proporre ai bambini delle idee nuove, spiegare loro che il senso del Natale non è nei regali, che non tutti lo festeggiano perché magari vengono da altri paesi, mostrargli la bellezza delle tradizioni di altre parti del mondo, approfittare dei giorni di festa per fare qualcosa insieme.

E soprattutto possiamo imparare a rispettare chi non la pensa come noi e a non imporre i nostri sensi di colpa e la nostra “cultura” agli altri.
Buone feste consapevoli a tutti!

L’epopea dello smartphone: com’è andata a finire?

lg-mobile-LG-G2-gallery-02-medium2-best-phoneIl 13 aprile del 2012 (oltre 4 anni fa) analizzavo la necessità o meno di possedere uno smartphone e la conclusione era stata negativa: non mi serviva, non ero pronta.

Circa un anno dopo cominciavo a sentire la mancanza di uno strumento tecnologico portatile che mi permettesse di accedere ai vari servizi e informazioni che ormai erano il mio pane quotidiano stando al pc. Ero ancora titubante perché non volevo ritrovarmi “schiava” del telefonino come tanta gente che vedevo intorno a me, sempre a controllare le notifiche, postare, chattare, fotografare, navigare, invece di concentrarsi sulle persone e sulla vita vera.

Pochi mesi dopo il secondo post mi sono comprata il Kindle, dopo lunghe riflessioni di carattere pratico (non ho più spazio fisico dove mettere i libri cartacei, gli ebook costano meno), “filosofico” (ahhhhhh il piacere della carta, il profumo dei libri, ecc ecc), ecologico (smaltire un libro di carta vs smaltire un apparecchio elettronico, abbattimento degli alberi, ecc.). Penso che quello sia stato una specie di punto di svolta: la rivoluzione digitale era iniziata!

Ho aspettato però un altro anno, fino a novembre 2014, prima di acquistare uno smartphone Android di fascia media (poco meno di 300 euro per un LG G2).
Non posso dire di non averci pensato bene…sicuramente un acquisto NON impulsivo!

A distanza di un anno e mezzo circa dall’acquisto ho deciso di tirare le somme di questa esperienza, per verificare se le mie supposizioni e analisi erano esatte.

  • È vero che trascorro poco tempo lontano dal pc, ma non avevo valutato di poter alternare pc e smartphone durante la giornata e che ci sono delle cose che è più comodo fare con lo smartphone (vedi ad esempio archiviazione di documenti fotografati su Evernote).
  • Avevo valutato di poter usare lo smartphone per circa 2 ore settimanali: no, decisamente non avevo idea della miriade di cose che si possono fare con questo aggeggio. Questa previsione si è rivelata assolutamente errata. La praticità di avere tutto in tasca, di poter accedere alle mie cose ovunque, le batterie del lettore mp3 e la quantità enorme di carta stampata che ho risparmiato usando lo smartphone sono vantaggi incalcolabili.
  • Maggiore fragilità e peso/ingombro rispetto ad un telefonino vecchio stile: anche qui mi sono sbagliata, lo smartphone in tutto questo tempo mi è caduto una sola volta e da un’altezza minima. Non so se siano proprio le dimensioni che lo rendono in effetti più facile da afferrare o il case protettivo gommoso, ma rispetto agli altri telefoni non c’è paragone: quelli sgusciavano via come anguille! Anche il peso è irrisorio e il fatto di non avere più un pesante caricabatterie da portarmi in giro è una delizia.
  • Il pericolo di diventare “vittima” delle notifiche ed essere completamente assorbita dallo smartphone: mi sono comportata abbastanza bene, ma potrei fare di meglio.
    • Il telefono a lavoro è sempre in modalità vibrazione, le notifiche di Whatsapp sono completamente disabilitate (restano solo quelle visive) e tengo sempre lo schermo spento in modo da non vedere i fatidici numerini rossi che sono una tentazione tremenda! Sms e telefonate sono l’unica distrazione concessa. Se sono a yoga o in altri contesti in cui non voglio essere disturbata nemmeno mentalmente utilizzo la modalità aereo e disabilito tutto.
    • La “sete di conoscenza” invece è un po’ più difficile da gestire: ho ben 2 Giga di connessione al mese (difficilmente ne consumo più di 1) perciò quando sono in giro e in una conversazione viene fuori qualcosa che nessuno sa con certezza non riesco a resistere…devo googolare! Se sono disconnessa non mi sento male e me ne faccio una ragione, non controllo il telefono in modo compulsivo (tranne quando mi annoio…) ma non riesco a resistere al richiamo della conoscenza a portata di mano. E in fondo…perché dovrei?
    • I giochini…ecco questo è un tasto un po’ dolente. Ho installato solo 3 app di giochi sul telefono ma sono in effetti una specie di droga. Con quelli sul pc è esattamente la stessa cosa, quindi il problema sono i giochi non il mezzo di fruizione, ma sullo smartphone mi consumano la batteria e questo non va assolutamente bene.
  • Il digital clutter:
    • Le app: ne ho installate poche e le uso tutte. Ecco la lista: Youtube, varie di Google (documenti, maps, drive, fogli, hangout, gmail, chrome), Whatsapp, Facebook+messenger,  Dropbox, Evernote, Waze, Lastpass, Amazon (music e kindle), Tripadvisor, Airbnb, qrcode reader, Mytim mobile, Trenitalia, Instagram (quest’ultima è recentissima, non sono ancora molto convinta di tenerla). In tutto occupano un paio di schermate, insieme alle icone di altri strumenti quali rubrica, torcia, calendario, sveglia, tasto telefono, ecc.
    • Sfondi e suonerie: uso uno degli sfondi di default (sono molto abitudinaria, mi piace sapere a colpo d’occhio dove sono le icone delle app che utilizzo di più e ho bisogno di colori poco invasivi) e ho installato un unico set di suonerie soft e “zen” con musiche delicate e poco fastidiose.
    • Foto e video: cancello periodicamente foto e video ricevuti tramite Whatsapp. Quelle che faccio io vengono sincronizzate in automatico su Dropbox e ogni tanto archivio quelle che voglio tenere cancellandole dalla cartella sincronizzata, in modo da non occupare inutilmente spazio sul telefono.

In conclusione: sono più che soddisfatta del mio acquisto (è un ottimo telefono) e di tutto quello che ci posso fare, mi ha semplificato e migliorato la vita in moltissimi modi che non avrei nemmeno potuto immaginare. Mi ha anche permesso di essere più “presente” nella vita degli amici lontani, mi fa sentire parte della loro vita anche se non siamo fisicamente insieme e questa forse è una delle cose più belle che potessi sperare di ottenere.

Decluttering intensivo: #minsgame 2016

La mia avventura con il decluttering è iniziata nel 2011 con moltissimo entusiasmo grazie a Laura di minimo che aveva indetto il “mese del decluttering”: una bellissima esperienza comunitaria che mi aveva fatto scoprire gioie e dolori di mettere mano all’enorme quantità di oggetti che riempivano i miei spazi.

Da lì sono derivate riflessioni e piccole scoperte su come affrontare al meglio un’attività che non è semplice “buttar via”, come ho capito fin da subito, ma si porta dietro emozioni, sensi di colpa, stupore, a volte rabbia e frustrazione. E ho capito che affrontare un decluttering in due è decisamente meglio, ci si sostiene, incoraggia, aiuta, consiglia.

Dopo quei primi anni pensavo di essermi comportata bene e di non aver accumulato troppa roba: guardandomi in giro non vedevo eccessivo disordine e c’erano molti spazi abbastanza vuoti.
Per questo quando Laura ha lanciato una nuova sfida sull’omonimo gruppo Facebook proponendoci di affrontare il Minsgame (nato sul blog The Minimalists) ho pensato che avrei resistito non più di una settimana, due al massimo.

Come funziona il #minsgame? Per tutto il mese di aprile si doveva eliminare un numero di oggetti corrispondente al giorno: un oggetto il primo giorno, due oggetti il secondo e così via fino ad arrivare a 30.  Poteva trattarsi di qualunque cosa (anche digital clutter) e smaltito in qualunque modo (cassonetto, riciclo, vendita, regalo, baratto, ecc).

Dato che pensavo di non avere molto da smaltire ho deciso di non parlarne qui sul blog giorno per giorno: che ingenuità!! Ovviamente ho smaltito tutti gli oggetti richiesti dal gioco e anche di più, oltre al fatto che non ho ancora finito: anche se non fotografo e non sto lì a contare, continua quasi quotidianamente l’opera di decluttering.

La sensazione di leggerezza, gioia, soddisfazione per un lavoro ben fatto sono impagabili: poter pulire in posti in cui non riuscivo ad accedere da mesi (anni?), eliminare un peso incredibile di cose inutili, guardarmi intorno e dentro ai mobili e trovare ordine e soprattutto spazio vuoto.
Possibilmente da NON RIEMPIRE…

Consiglio a tutti di provare, se vi spaventa l’idea del minsgame potete ridurlo o fermarvi a metà mese: è solo una piccola sfida con voi stessi, nessun obbligo, nessun giudice. Trovate qualche amico con cui farlo, venite sul gruppo Facebook a cercare soldarietà e consigli, leggete qualcosa qui su come affrontare al meglio il decluttering e cosa fare con gli oggetti che avete deciso di eliminare.
Vi consiglio soprattutto la regola dell’1-2-3 per decidere velocemente la sorte degli oggetti e la guida semiseria agli acquisti per evitare di farsi prendere dalla foga dello shopping in futuro…

Per concludere in bellezza un collage delle foto che ho fatto in questi 30 giorni…non finirò mai di stupirmi per le cose che riusciamo ad accumulare (e che ci “appesantiscono” la vita)!

Buon decluttering 🙂